Scritta tra il 1951 e il 1957, d’ispirazione e derivazione scespiriana e brechtiana, ha la struttura della kermesse, articolata, anziché in atti, in parti, divise in giornate, a loro volta ripartire in scene, seguendo una cronologia di eventi drammaturgici accaduti in posti diversi tra giugno 1942 e aprile 1945. È un’intensa e tragica storia d’amore tra Cecilia (Virna Lisi), venditrice ambulante di libri di propaganda fascista, e Michele (Carlo Giuffré), contadino e meccanico che vuole emanciparsi dalla povertà tentando di fare fortuna come pittore. Cecilia lo aiuta organizzandogli una mostra, accettando per questo i favori di un conte gaudente. Ma la guerra divide i due giovani amanti che solo alla fine si rincontrano; nel frattempo, però, Michele, che è entrato nelle file della Resistenza, si è sposato e Cecilia si vendica denunciandolo ai fascisti che lo uccidono. Ma anche Cecilia, catturata dai partigiani, sarà uccisa.
La storia di Cecilia e Michele si inserisce nella più vasta storia della Romagna contadina e della crisi della sua civiltà; ma all’antica conflittualità nelle campagne romagnole se ne aggiunge una nuova, politica; l’emancipazione economica e sociale dei contadini passa per la Resistenza. In questo lavoro l’impegno civile e politico di Squarzina è più evidente sia per la ricostruzione della partecipazione collettiva alle vicende storiche che seguono la fine del fascismo, sia per la funziona didascalica che assumono personaggi minori come Cencio, il Torci e Domenica.
Romagnola vince il Premio Marzotto 1957 e, prodotta dal Teatro d’Arte Italiano, è messa in scena al Valle di Roma il 5 febbraio 1959, con la regia dell’autore e scene e costumi di Gianni Polidori. La prima è disturbata da gruppi fascisti che dal loggione gettano in platea topi con paracaduti tricolori. Trionfa in tournée prima in URSS, al Teatro Puškin di Mosca, nel 1960, poi in Romania, al Teatro Giulesti di Bucarest, il 20 aprile 1962, e al Teatro Nazionale Vasile Alecsandri di Iasi il 25 giugno 1962. Il 6 febbraio 1965 è ripresa dal Teatro Stabile di Trieste con la regia di Eriprando Visconti, scene e costumi di Sergio D’Osmo e musiche di Vittorio Franceschini.