In tre atti, è la prima commedia di Luigi Squarzina, scritta tra il 1945 e il 1948, vince il Premio Gramsci per il teatro nel 1949, in giuria, Eduardo de Filippo, Luchino Visconti, Vito Pandolfi, Paolo Stoppa, Stefano Landi.
Non è stata mai rappresentata in Italia, solo una lettura di Vittorio Gassman, nel 1950, a Roma e di Giorgio Albertazzi, nel 1951, a Firenze, Gabinetto Viesseux. Un’ulteriore lettura, che ha suscitato molto interesse, è quella con la regia di Piero Maccarinelli, a Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1994, in occasione della mostra Roma sotto le stelle del ’44,storia, arte e cultura dalla guerra alla liberazione. Con lo stesso regista, una lettura il 12 gennaio 2015, teatro Argentina.
Il 30 ottobre 1955 l’opera era stata messa in scena, con successo, al Teatro Nazionale della Slesia, a Katowice in Polonia, con la regia di Zbigniev Sawan e le scene di Andrej Cybulski, traduzione di Richard Landau. Nel 1959 viene tradotta in russo da G. Boghemskji e pubblicata a Mosca.
In Italia solo letture, nessuna rappresentazione, come scriveva nel 1950 Vito Pandolfi: “Perché, nonostante la segnalazione del Premio Gramsci, L’Esposizione Universale non si è potuta vedere sulle nostre scene? Il perché lo troverà facilmente ogni lettore al termine del terzo atto”
Alle spalle della vicenda umana dei personaggi e del conflitto che l’irrompere della speculazione edilizia provoca, emerge la situazione di grande povertà dell’Italia dopo la seconda guerra mondiale: i campi degli sfollati sparsi in vari punti della Capitale, i colpevoli ritardi, il Campo Parioli, che verrà abolito solo con le Olimpiadi del 1960, e l’ultimo Campo sfollati, che troverà tardiva soluzione negli anni ’70, con la giunta Petroselli.
Lo scenario retorico, anche se in alcune parti magnifico, delle architetture fasciste dell’E42, fa da sfondo alla storia, raccontata con umana pietà, delle illusioni perdute.
La lunga didascalia iniziale, come una ripresa panoramica cinematografica, introduce all’ambiente in cui si svolge la vicenda, cioè il piano terreno di uno di quegli edifici vuoti dell’EUR i cui lavori sono rimasti interrotti dal 1940. In questo palazzo – racconta Squarzina – si è rifugiata una piccola comunità di senzatetto che vive in maniera miserrima. Alla precarietà economica si aggiunge quella psicologica, sicché, a fronte del progetto speculativo di uno pseudo giornalista che vuole operare una riconversione edilizia dell’EUR in un gigantesco complesso residenziale, la comunità si disgrega. L’astuto giornalista, che entra nel gruppo con la scusa di fare un reportage sulle condizioni di vita degli sfollati, fa venire alla luce i conflitti, le diversità culturali e le debolezze dei singoli che possono facilmente cedere ai ricatti economici. Alla fine, i personaggi devono sgomberare gli edifici perché la speculazione edilizia possa avanzare, e vengono cacciati dalla forza pubblica che uccide coloro che si oppongono. In primo piano le singole storie di diseredati collettivamente sconfitti dal potere economico, sullo sfondo, ma ben evidente, la realtà sociale ed economica del dopoguerra. Un’impostazione che anticipa quella di Luchino Visconti per il suo film più teatrale, Rocco e i suoi fratelli del 1960, un testo profetico di molte vicende italiane.
Il 4 giugno 2015 L’Esposizione Universale va finalmente in scena in Italia, con regia di Piero Maccarinelli, al Teatro India, produzione Teatro di Roma, in collaborazione con Regione Lazio, interpreti Stefano Santospago, Luciano Virgilio, Antonietta Bello, Alice Spisa, gli allievi dell’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, e del Centro Sperimentale di Cinematografia. In essa il regista ha visto una occasione per riflettere su un pezzo di storia del nostro Paese.